sabato 26 giugno 2010

"Ipotesi sul futuro" (parte 2)

« L’era bioide. Nonostante con i MIRT si riuscisse ad ottenere praticamente tutto, presto sorsero nell’uomo dei desideri per noi imperscrutabili, che lo portarono alla costruzione della più incredibile invenzione umana: il DNA preprogrammato. Grazie all’ausilio dei MIRT e alle conoscenze acquisite sulla meravigliosa doppia elica della vita, fu possibile sviluppare una tecnica avanzata di manipolazione del DNA. Più che di manipolazione sarebbe corretto parlare di creazione o costruzione, dal momento che venivano concepiti nuovi genomi, contenenti tutte le istruzioni per generare qualsiasi “cosa” potesse venire in mente al suo creatore. Si cominciò con impianti per l’illuminazione pubblica, vere e proprie selve di alberi-lampione, capaci di accumulare energia luminosa durante il giorno e di riemetterla durante la notte. Seguirono le costruzioni abitative, che venivano “costruite” semplicemente piantandone il seme in un terreno ben fertilizzato: grazie alla crescita accelerata, nel giro di poche settimane la nuova casa era pronta ad essere abitata.
Venne coniato un nuovo aggettivo, che permetteva di distinguere le costruzioni generate dal DNA preprogrammato dalle altre: bioide.
Case bioidi dunque sorsero, è il caso di dirlo, come funghi e ben presto si crearono centri urbani bioidi, caratterizzati anche da un alto livello di simbiosi interna, anch’essa opportunamente scritta nel codice genetico delle abitazioni.
Sorse una nuova professione (anche se, in quei tempi, la parola professione aveva perso il suo significato originale), quella del programmatore di DNA, che poteva essere legittimamente definito un vero e proprio “ingegnere genetico”, ed il cui compito era quello di progettare catene di DNA funzionanti, capaci cioè di garantire la creazione senza intoppi di ciò che era richiesto dal cliente. I possibili “intoppi” che si potevano incontrare erano principalmente rappresentati da incompatibilità geniche all’interno della catena: molto spesso, infatti, l’azione inibente di un gene veniva contrastata dall’azione promotrice di un altro, causando il più delle volte malfunzionamenti della creazione finale o addirittura l’impossibilità del suo sviluppo. Una volta completato il progetto del nuovo DNA, esso veniva letteralmente costruito, pezzo per pezzo. Il programma guidava i MIRT nella composizione della catena biotica e dell’ambiente di supporto, il “seme”, entro il quale essa sarebbe stata posta, e che avrebbe rappresentato l’incubatrice per i primi istanti di sviluppo dell’”embrione”. In alcuni casi, il seme era analogo ai suoi consimili vegetali e bastava piantarlo in un terreno opportunamente fertilizzato. Altre volte il procedimento era più complicato, come nel caso delle navi spaziali, che venivano “generate” accostando il seme attivato ad una massa asteroidale: appena il seme si apriva, una serie di piccoli tentacoli specializzati cercava la fredda parete dell’asteroide e, una volta ottenuto il contatto con essa, vi affondava le possenti “radici”. Subito dopo comparivano le “foglie”, che, traendo energia dal sole, provvedevano ad alimentare l’efficiente macchina vivente capace di trasformare i minerali grezzi della roccia in elementi utili alla costruzione dell’astronave bioide. Dopo un periodo di tempo che andava da pochi giorni a poche settimane (a seconda della grandezza), la nave spaziale giungeva a “maturazione”, all’interno di un enorme bozzolo composto da bambagia silicea.
Naturalmente tutte queste forme di vita bioide erano sterili, nel senso che non davano origine a semi fertili (il più delle volte le parti genitali erano comunque funzionali per l’essere, un po’ come lo sono i testicoli e le ovaie con la produzione di ormoni all’interno del corpo umano). Tutte tranne una forma particolare di astrosonda bioide.
Nel 2920 partì infatti il progetto BEN, acronimo di Bioneural Energy Network. Esso rappresentava la frontiera dell’esplorazione spaziale e fu colto con grande entusiasmo dall’opinione pubblica. Un cluster di 128 mini sonde spaziali bioidi vennero lanciate in ogni direzione alla volta dello spazio profondo. Ciascuna sonda era concepita in modo da poter comunicare attivamente alle altre i dati raccolti e di replicarsi utilizzando il materiale planetario incontrato lungo il proprio cammino. Era prevista anche la possibilità di atterrare sul pianeta oggetto di studio e dar luogo ad una moltiplicazione di massa per affrontare il prossimo lungo viaggio verso il sistema planetario successivo.
Tutte le informazioni raccolte, dunque, venivano inviate alle altre sonde, che facevano da ponte radio, fino ad arrivare alla Terra, dove venivano convogliate nell’Immagine. Grazie al progetto BEN, dunque, nel giro di dieci anni, dalla Terra era possibile spostarsi “virtualmente” all’interno di uno spazio pressoché sferico con raggio medio di 100 anni luce con centro la Terra. A quell’epoca, il numero delle singole sonde aveva superato i cento miliardi di unità.
Era addirittura possibile controllare da Terra un gruppo esiguo di unità BEN pro capite, per poter navigare liberamente all’interno della galassia. Ad ogni modo la possibilità di controllo non era infinita, ma veniva regolamentata dalle direttive principali contenute nel codice genetico BEN.
In queste complesse forme viventi, si ritrovavano tutti gli espedienti utilizzati dalla natura per la crescita (metamorfismo, …), oltre a nuove e geniali qualità concepite dagli ingegneri genetici e, a dire il vero il più delle volte, dai computer di programmazione. Una di queste ultime consisteva nella capacità di adattarsi all’ambiente sfruttando un algoritmo dinamico ad hoc che si modificava a sua volta dopo aver impostato la variazione genetica. L’unico pericolo che risiedeva nell’utilizzo di questa novità, si scoprì ben presto, consisteva nella possibilità di variazioni imprevedibili e “cancerose”, che potevano mettere a repentaglio l’intera rete dei BEN.
[...]
La creazione finale, l’”oggetto” di cui si aveva bisogno, poteva essere o il rimasuglio di ciò che il vivente costruiva durante la sua breve esistenza, era questo il caso delle prime abitazioni bioidi, costituite dal resto inerte di un essere simile al corallo; oppure essa poteva continuare a vivere, espletando servizi utili e/o essenziali al suo corretto funzionamento. Nelle case bioidi più moderne, per esempio, l’illuminazione era garantita da un sistema integrato simile a quello degli alberi-lampione ed i rifiuti organici degli abitanti venivano riciclati da una sorta di stomaco che li scomponeva nei loro elementi base e li riutilizzava per il rinnovamento dei “tessuti” e per la produzione di energia.
[...]
Ben presto furono sviluppati potenti software capaci di generare DNA preprogrammati senza l’ausilio di operatori esperti. Questi software prevedevano anche l’ottimizzazione di sequenza, che permetteva, tra le altre cose, l’eliminazione di sequenze geniche ridondanti e l’integrazione di una sequenza di ultrasviluppo, capace di accelerare ulteriormente il processo di crescita dell’essere bioide. Così, grazie anche alla diffusione di nuovo software con interfaccia user-friendly, nell’uso dei quali l’unica cosa di cui si aveva bisogno era solo una grande immaginazione, ogni persona aveva la possibilità di crearsi qualsiasi oggetto bioide.
Nel giro di pochi anni la terra incominciò ad essere “popolata” da creazioni bioidi. Quasi tutti i mezzi di trasporto tradizionali furono affiancati dai nuovi fenomeni della scienza. Parallelamente, le applicazioni di tale nuova scienza si diffusero nello spazio.
Così, accanto alle affilate e baluginanti navi spaziali costruite dai microscopici ed instancabili MIRT, comparvero le organiche e stravaganti bionavi stellari.
[...]
In un futuro alternativo, forse, la tecnologia dei MIRT non si sarebbe sviluppata così rapidamente e fino all’estremo se eventi accidentali avessero portato prima l’uomo alla creazione del DNA preprogrammato. Probabilmente si sarebbe vissuti per secoli (o anche per millenni), cullati dal trastullo di quelle creazioni che a noi parrebbero abominevoli, senza quei piccoli robot amici che ormai impregnavano ogni centimetro quadrato dell’esistenza umana. »

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