mercoledì 22 settembre 2010

Strano modo di comunicazione

-Hai visto qui?
-Sì… molto curioso…
-Certo che non si finisce mai di trovarne di stranezze, fra le stelle!
-1.42 GHz… questo non è così strano, potrebbe avere un senso. Se non sbaglio, è la frequenza dell’idrogeno…
-…Ed essendo l’idrogeno l’elemento più diffuso nell’universo… Ok, questa gliela passo.
-Vediamo un po’ cosa contiene? Uhmm, non si capisce granché, ma sembra esserci una certa logica.
-Però, che pena mi fanno!
-Hai ragione! Con tutti i metodi di comunicazione che esistono, proprio questo hanno utilizzato per cercare di contattare forme di vita extraterrestri! Onde elettromagnetiche.
-Duecentotrentasette civiltà in questa galassia; ognuna ha seguito diligentemente il suo sviluppo tecnologico, evitando di rimanere invischiata nella melassa elettromagnetica. E poi arrivano questi, che sperano di contattare qualcuno utilizzando tali stravaganze! Da queste letture, poi, sembra che se ne servano ampiamente per comunicare tra loro, anche se oramai l’etere è saturo e il livello di radiazione comincia a danneggiare i loro corpi.
-Notificalo nel registro NCDN[1], e dì a Jikf di preparare qualcosa per mandar loro un contentino, uhm, diciamo… di 20TeraWatt. Dovrebbero udire forte e chiaro. Ma solo numeri primi e pigreco, non voglio che si montino la testa.
-Sono d’accordo. Quando avranno imparato ad utilizzare le onde gravitazionali, se ne riparlerà.


[1] Nuove Curiosità Della Natura


Questo raccontino del 2004, che mostra il punto di vista di ipotetici alieni nel momento della scoperta della nostra civiltà, aveva lo scopo di rimarcare quanto noi diamo per scontato l’uso delle onde elettromagnetiche per le comunicazioni. Oggi non siamo del tutto certi degli effetti di livelli seppur minimi di onde elettromagnetiche sul funzionamento delle cellule: forse ai livelli attuali non potranno causare un danneggiamento diretto, ma non è da escludere che possano modularne in maniera inaspettata i meccanismi interni. Provate a pensare che in questo momento, in qualunque parte civilizzata del globo vi troviate, il vostro corpo viene continuamente attraversato da milioni di onde elettromagnetiche provenienti da ripetitori per cellulari, emittenti radio-televisive, radar...
E seppur ora il livello di radiazione elettromagnetica non sembra così elevato da danneggiare il tessuto vivente, provate ad immaginare cosa succederebbe nei prossimi cento anni se la rete di telecomunicazioni continuasse a crescere al ritmo vorticoso di oggi. Forse si potrà davvero parlare di “melassa elettromagnetica”. Sarà quindi meglio cominciare a cercare altri metodi di comunicazione...

venerdì 27 agosto 2010

L'avatar prossimo venturo gira su due ruote

L'altro giorno, leggendo le notizie nella sezione "News Scan" di Scientific American di questo mese, mi sono imbattuto in un articoletto che mi ha lasciato a bocca aperta, perché ha descritto, proprio come me l'immaginavo, una diavoleria tecnologica che avevo incontrato pochi giorni prima nel romanzo di fantascienza "Einstein's Bridge", scritto nel 1997 dal fisico americano John G. Cramer. Nel romanzo si descriveva un robot su ruote, vagamente umanoide, che si aggirava tra gli uffici e i cantieri del super acceleratore di particelle SSC, sotto il controllo di una persona situata a diversi km di distanza. Il robot possedeva un paio di occhi, attraverso i quali la persona distante poteva vedere, ed un piccolo schermo, che mostrava l'immagine della persona stessa.
QA - Il fratello maggiore di QB
Forse a questo romanzo si sono ispirati i creatori di "QB" il robot/avatar capace di dare a chiunque possegga internet - e ovviamente un tot di soldi - il dono dell'ubiquità.
Una sorta di "Skype potenziato", che consente all'utente di muoversi liberamente (o quasi), nell'ambiente in cui si trova l'avatar.
QB in azione
Per ora il robot in questione non è in grado di interagire materialmente con cose e persone, nel senso che non possiede arti che possano essere comandati - come il robot descritto nel romanzo di Cramer. Tuttavia ciò non sembra costituire un grosso ostacolo per una futura  implementazione. Per cui, in un domani forse neanche tanto lontano, possiamo immaginarci di vagare virtualmente in una località remota, scambiando due chiacchiere con amici, con tanto di strette di mano, abbracci e baci (... uhm..., forse per questi ultimi dovremo aspettare ancora un po'...).


sabato 14 agosto 2010

Quel treno del tubo!

Correva l'anno 2002, quando buttai giù l'idea embrionale di un mezzo di trasporto peculiare (qua a fianco riporto una scansione della pagina di appunti sperimentali): un tubo in cui si sia fatto un vuoto parziale, dentro cui fare scorrere una sorta di treno a levitazione magnetica.
I vantantaggi di un simile approccio sarebbero molteplici e si potrebbero condensare nella seguente lista: 
  • velocità ottenibili di gran lunga superiori a quella del suono nell'aria
  • attrito nullo
  • ridotto dispendio energetico (possibilità di reimmagazzinare quasi tutta l'energia in frenata)
  • riduzione del rumore
Al tempo di quegli appunti, mi ricordo che pensai al fatto che, se fosse esistito un treno del genere che collegasse  Rimini con Vienna (800 km), il tempo di percorrenza si sarebbe ridotto a qualche decina di minuti (invece delle 12 ore necessarie in treno o le 2-3 ore - compreso check-in e tutto - in aereo)! Incredibile!
Allora feci una ricerca su internet per vedere se già esistesse in giro un concetto simile, ma non trovai nulla. A quando pare proprio in quegli anni, però, la stessa idea doveva frullare per la testa di un certo signor Okano, visto che nel 2003 egli pubblicò un articolo sulla fattibilità di tale opera ingegneristica (anche se si riferiva al trasporto di cose e non di persone).
A cercare bene, oggi si trovano più fonti, anche risalenti a diversi anni prima, dove però non si considerava l'utilizzo della levitazione magnetica ma solo del tubo a vuoto.

Oggi esiste almeno una compagnia che si sta dando da fare per la realizzazione di un simile sistema:
Altre informazioni su:

Il sito della ET3
Io continuai a lavorare nel campo della propulsione spaziale e l'idea rimase solo un appunto su un libro di esperimenti... Ma è ironico che il motto della compagnia di cui sopra sia: "Space Travel on Earth (TM)"!

lunedì 9 agosto 2010

A proposito di "bioidingegneria"... Il primo microorganismo con DNA artificiale

E' nel numero di Agosto di Scientific American la notizia del primo microorganismo con DNA costruito artificialmente in laboratorio. Lo scorso marzo alcuni scienziati del Craig Venter Institute di Rockville (Maryland) hanno inserito il genoma sintetizzato del batterio Mycoplasma mycoides in una cellula di Mycoplasma capricolum, e prontamente il nuovo DNA ha cominciato a far lavorare la cellula come se fosse un batterio M. mycoides. Nel giro di tre giorni i ricercatori si sono ritrovati con un'intera colonia di M. capricolum "comandati" da DNA sintetico di M. mycoides.
Emblematico è ciò che ha detto Craig Venter - il leader del gruppo di ricercatori - durante una conferenza stampa: "Questa è la prima cellula auto-riproducentesi sul pianeta ad avere un computer come genitore".
A quanto pare l'Era Bioide descritta nei post precedenti non sembra poi tanto lontana...

lunedì 12 luglio 2010

"Ipotesi sul futuro" (parte 3)

Con questa terza parte si conclude la mini-raccolta di considerazioni sparse su tre ipotetiche tecnologie future (l'Immagine, i MIRT e la Bioidingegneria) e  il loro probabile impatto sul genere umano. Gli appunti che seguono sono un misto di considerazioni sul metodo deduttivo e di descrizioni a posteriori (ritorna il "modello" enciclopedico) di eventi futuri.


Problemi di futurologia. L’Era Bioide, l’Immagine e i MIRT
Nell’ambito della futurologia, ovvero la descrizione deduttiva del futuro, si pone il problema di come impostare in maniera logica il processo di deduzione. Generalmente si parte da presupposti semplici, che coinvolgono situazioni generiche, e si estrapola quella che più verosimilmente potrebbe essere la loro evoluzione futura. Il problema principale risiede nel fatto che non è detto che quelli che sono ora fattori determinanti potrebbero svolgere la loro funzione anche in futuro, o in ogni caso essere l’origine diretta di altri fattori determinanti. Questi ultimi, infatti, hanno spesso origini indipendenti e si sviluppano da fattori embrionali di cui non è possibile prevedere l’origine.
La descrizione di un mondo del lontano futuro, dunque, se eseguita con la pretesa di verosimiglianza, soffrirà sempre del difetto dovuto all’imprevedibilità di quelli che saranno i reali fattori determinanti. Non è possibile sapere, a causa dell’evoluzione caotica della casualità, quali dei fattori embrionali presenti potranno diventare determinanti per il futuro. Inoltre, se la visione si spinge verso un futuro remoto, tali fattori embrionali devono ancora avere origine, ed in questo caso la descrizione diventa praticamente impossibile.
Ciò che si cerca di fare nella descrizione del futuro è determinare almeno l’ “ambiente base”  che farà da sfondo allo svolgimento della storia e ne influenzerà il corso.

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« L’era bioide fu caratterizzata da una costante ricerca di possibili applicazioni dell’ingegneria genetica avanzata alla vita quotidiana ed all’industria. La possibilità di manipolare il DNA fino a riuscire a costruire anche dal nulla una nuova forma di vita aprì nuove ed eccitanti prospettive per il futuro prossimo.
L’applicazione più meravigliosa che si riuscì ad attuare nella fase media dell’era bioide furono le bionavi stellari. In esse si ritrovarono applicati tutti i più recenti progressi del campo bioingegneristico, primo fra tutti la produzione di un ambiente strettamente simbiotico fra uomo ed essere bioide. La bionave stellare non si limitava cioè solo a contenere ed a trasportare con sé gli esseri umani, ma era legata a loro tramite un continuo flusso di materiale biologico. Essa si nutriva di tutti i rifiuti biologici umani, producendo aria respirabile e cibo commestibile. Ma non solo. Esisteva anche un legame più prettamente psicologico, nel quale essa esprimeva il suo “stato d’animo” tramite suoni e immagini multicolori che emanavano dalle pareti o in una apposita “stanza”, che potrebbe essere definita "stanza di ricreazione".

Per quanto riguarda il sistema propulsivo, esso si basava sulla trasposizione bioide del concetto tecnologico di vela solare magnetica utilizzato nei moderni velivoli spaziali. In tale sistema propulsivo, l’interazione dinamica del campo magnetico prodotto da un solenoide ed espanso dal plasma emesso dalla sonda stessa permetteva di ottenere una spinta notevole, variabile da 0 a 1g per i voli all’interno del sistema solare. Verso la fine della fase media dell’era bioide si cominciarono a sviluppare le prime bionavi interstellari, capaci di raggiungere accelerazioni dell’ordine delle migliaia di g. In questa fase non furono realizzate però bionavi interstellari che trasportassero uomini, anche perché le accelerazioni avrebbero distrutto qualsiasi essere vivente terrestre, ma solo bionavi-sonde automatiche. Questo era dato dal fatto che con l’immagine era possibile interfacciare direttamente l’essere umano con i sensori della sonda e così si realizzava una sorta di trasporto virtuale che, a detta degli esseri umani dell’epoca, era “più reale del reale”. Così, migliaia di viaggiatori sulla terra esplorarono le profondità dello spazio remoto, vivendo fino alla veneranda età media di 200 anni, facendo alcune delle più sensazionali scoperte in ambito astrofisico. Non era comunque raro che qualcuno raggiungesse i 250 anni di età, pur se non in ottime condizioni di salute. I MIRT alimentari e quelli riparatori garantivano infatti la salvaguardia dell’essere umano nella sua totalità, senza bisogno di intervento esterno alcuno. »

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A questo punto, potrebbe sorgere il seguente interrogativo futurologico: “Se l’uomo concepisse una tecnologia di immagine capace di ‘trasportare’ la sua mente in ogni luogo come se si trattasse di un viaggio reale, anzi, ‘più reale del reale’, esisterebbe ancora la spinta di esplorare lo spazio ‘di persona’?”. E’ chiaro che questo interrogativo rappresenta un importante bivio nella possibile storia futura degli esseri umani. A seconda che la risposta sia positiva o negativa, infatti, si avrebbe uno spazio popolato da esseri umani od uno spazio popolato da sonde mediatrici dell’immagine… una bella differenza, non c’è che dire!
Esiste comunque un evento che dovrebbe indurre nell’uomo questa spinta di esplorazione spaziale profonda, e cioè la certezza che prima o poi il pianeta natale, e con esso il sistema planetario di cui fa parte, diventeranno luoghi altamente inospitali per la vita. Ho utilizzato il condizionale dal momento che esiste anche un’ulteriore alternativa. Se infatti l’uomo riuscisse a sviluppare una tecnologia in grado di “domare” il processo di fusione che avviene nel Sole e l’ecologia planetaria (terraforming), e con essa un nuovo metodo di produzione di energia, non è detto che esso debba per forza allontanarsi dal proprio sistema solare, poiché potrebbe rendere “eternamente abitabili” i mondi di cui esso è costituito.
Esiste anche la possibilità che questo bisogno di domare le forze cosmiche porti l’uomo a riscoprire la bellezza del volo spaziale, dal momento che lo spostamento da un pianeta all’altro dovrà senz’altro essere fisico, reale. Ad ogni modo, l’utilizzo massiccio di robot (e con questo termine si intendono tutte le macchine “servitrici” dell’uomo, dai computer ai MIRT), legato alla possibile dipendenza dell’uomo dall’Immagine, potrebbe prospettare una migrazione spaziale, dalla Terra ad un altro pianeta del sistema solare, del tutto inusuale, con esseri umani continuamente legati all’Immagine e “impacchettati” come merce per essere imbarcati da robot su navi spaziali in rotta verso il pianeta di destinazione.

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Fattori determinanti: Immagine – MIRT – Bioidingegneria (Ingegneria degli esseri Bioidi)
E’ molto probabile che lo sviluppo di questi fattori determinanti avrebbe un enorme impatto sul futuro della vita umana. E’ piuttosto facile prevedere cosa potrebbe succedere se si considera lo sviluppo di un fattore alla volta. Più difficile, anzi, praticamente impossibile, diventa prevedere le innumerevoli possibilità di interazione fra questi tre fattori, considerando come incognita anche la velocità di sviluppo del singolo fattore. La bioidingegneria, infatti, potrebbe essere un fattore inibente nei confronti dei MIRT solo se essa dovesse raggiungere un alto grado di sviluppo, altrimenti potrebbe avvenire l’inverso, e cioè che la bioidingegneria non sia in grado di trovare spazio perché i MIRT da soli sono capaci di “soddisfare” le necessità e i desideri umani.
Poi l’Immagine potrebbe essere mediata da MIRT o da bioidi, ed essere totalmente dipendente da questi; la creazione stessa dell’Immagine potrebbe essere impossibile senza MIRT o bioidi.
Lo sviluppo dell’Immagine potrebbe, d’altro canto, essere inibito dallo sviluppo dei bioidi e/o dei MIRT, poiché con essi sarebbe possibile sviluppare nuovi e più veloci sistemi di trasporto, sia terrestre che spaziale…anche se, considerando l’attuale tendenza all'“impigrimento” del genere umano, questo non sembra essere uno scenario molto plausibile. In altre parole, se si avesse uno sviluppo adeguato della videoconferenza come oggi la si intende verso uno strumento di tipo Immagine, sebbene rudimentale, non si vede perché qualcuno si debba imbarcare in un viaggio di diverse ore per poter interagire con un’altra persona distante.
Potrebbe esistere un futuro dove MIRT e bioidi siano in stretto rapporto tra di loro. Come descritto nel brano “Futuro – Ipotesi I” (nota: questo era il titolo-bozza dato al racconto-saggio in preparazione), lo sviluppo di DNA preprogrammato potrebbe essere impossibile se si esclude l’utilizzo di MIRT. Più difficile è pensare il contrario, e cioè che la concezione dei MIRT sia in qualche modo legata alla bioidingegneria, anche se, come si è or ora visto, potrebbe esserne legato il loro sviluppo.

© Nembo Buldrini

sabato 26 giugno 2010

"Ipotesi sul futuro" (parte 2)

« L’era bioide. Nonostante con i MIRT si riuscisse ad ottenere praticamente tutto, presto sorsero nell’uomo dei desideri per noi imperscrutabili, che lo portarono alla costruzione della più incredibile invenzione umana: il DNA preprogrammato. Grazie all’ausilio dei MIRT e alle conoscenze acquisite sulla meravigliosa doppia elica della vita, fu possibile sviluppare una tecnica avanzata di manipolazione del DNA. Più che di manipolazione sarebbe corretto parlare di creazione o costruzione, dal momento che venivano concepiti nuovi genomi, contenenti tutte le istruzioni per generare qualsiasi “cosa” potesse venire in mente al suo creatore. Si cominciò con impianti per l’illuminazione pubblica, vere e proprie selve di alberi-lampione, capaci di accumulare energia luminosa durante il giorno e di riemetterla durante la notte. Seguirono le costruzioni abitative, che venivano “costruite” semplicemente piantandone il seme in un terreno ben fertilizzato: grazie alla crescita accelerata, nel giro di poche settimane la nuova casa era pronta ad essere abitata.
Venne coniato un nuovo aggettivo, che permetteva di distinguere le costruzioni generate dal DNA preprogrammato dalle altre: bioide.
Case bioidi dunque sorsero, è il caso di dirlo, come funghi e ben presto si crearono centri urbani bioidi, caratterizzati anche da un alto livello di simbiosi interna, anch’essa opportunamente scritta nel codice genetico delle abitazioni.
Sorse una nuova professione (anche se, in quei tempi, la parola professione aveva perso il suo significato originale), quella del programmatore di DNA, che poteva essere legittimamente definito un vero e proprio “ingegnere genetico”, ed il cui compito era quello di progettare catene di DNA funzionanti, capaci cioè di garantire la creazione senza intoppi di ciò che era richiesto dal cliente. I possibili “intoppi” che si potevano incontrare erano principalmente rappresentati da incompatibilità geniche all’interno della catena: molto spesso, infatti, l’azione inibente di un gene veniva contrastata dall’azione promotrice di un altro, causando il più delle volte malfunzionamenti della creazione finale o addirittura l’impossibilità del suo sviluppo. Una volta completato il progetto del nuovo DNA, esso veniva letteralmente costruito, pezzo per pezzo. Il programma guidava i MIRT nella composizione della catena biotica e dell’ambiente di supporto, il “seme”, entro il quale essa sarebbe stata posta, e che avrebbe rappresentato l’incubatrice per i primi istanti di sviluppo dell’”embrione”. In alcuni casi, il seme era analogo ai suoi consimili vegetali e bastava piantarlo in un terreno opportunamente fertilizzato. Altre volte il procedimento era più complicato, come nel caso delle navi spaziali, che venivano “generate” accostando il seme attivato ad una massa asteroidale: appena il seme si apriva, una serie di piccoli tentacoli specializzati cercava la fredda parete dell’asteroide e, una volta ottenuto il contatto con essa, vi affondava le possenti “radici”. Subito dopo comparivano le “foglie”, che, traendo energia dal sole, provvedevano ad alimentare l’efficiente macchina vivente capace di trasformare i minerali grezzi della roccia in elementi utili alla costruzione dell’astronave bioide. Dopo un periodo di tempo che andava da pochi giorni a poche settimane (a seconda della grandezza), la nave spaziale giungeva a “maturazione”, all’interno di un enorme bozzolo composto da bambagia silicea.
Naturalmente tutte queste forme di vita bioide erano sterili, nel senso che non davano origine a semi fertili (il più delle volte le parti genitali erano comunque funzionali per l’essere, un po’ come lo sono i testicoli e le ovaie con la produzione di ormoni all’interno del corpo umano). Tutte tranne una forma particolare di astrosonda bioide.
Nel 2920 partì infatti il progetto BEN, acronimo di Bioneural Energy Network. Esso rappresentava la frontiera dell’esplorazione spaziale e fu colto con grande entusiasmo dall’opinione pubblica. Un cluster di 128 mini sonde spaziali bioidi vennero lanciate in ogni direzione alla volta dello spazio profondo. Ciascuna sonda era concepita in modo da poter comunicare attivamente alle altre i dati raccolti e di replicarsi utilizzando il materiale planetario incontrato lungo il proprio cammino. Era prevista anche la possibilità di atterrare sul pianeta oggetto di studio e dar luogo ad una moltiplicazione di massa per affrontare il prossimo lungo viaggio verso il sistema planetario successivo.
Tutte le informazioni raccolte, dunque, venivano inviate alle altre sonde, che facevano da ponte radio, fino ad arrivare alla Terra, dove venivano convogliate nell’Immagine. Grazie al progetto BEN, dunque, nel giro di dieci anni, dalla Terra era possibile spostarsi “virtualmente” all’interno di uno spazio pressoché sferico con raggio medio di 100 anni luce con centro la Terra. A quell’epoca, il numero delle singole sonde aveva superato i cento miliardi di unità.
Era addirittura possibile controllare da Terra un gruppo esiguo di unità BEN pro capite, per poter navigare liberamente all’interno della galassia. Ad ogni modo la possibilità di controllo non era infinita, ma veniva regolamentata dalle direttive principali contenute nel codice genetico BEN.
In queste complesse forme viventi, si ritrovavano tutti gli espedienti utilizzati dalla natura per la crescita (metamorfismo, …), oltre a nuove e geniali qualità concepite dagli ingegneri genetici e, a dire il vero il più delle volte, dai computer di programmazione. Una di queste ultime consisteva nella capacità di adattarsi all’ambiente sfruttando un algoritmo dinamico ad hoc che si modificava a sua volta dopo aver impostato la variazione genetica. L’unico pericolo che risiedeva nell’utilizzo di questa novità, si scoprì ben presto, consisteva nella possibilità di variazioni imprevedibili e “cancerose”, che potevano mettere a repentaglio l’intera rete dei BEN.
[...]
La creazione finale, l’”oggetto” di cui si aveva bisogno, poteva essere o il rimasuglio di ciò che il vivente costruiva durante la sua breve esistenza, era questo il caso delle prime abitazioni bioidi, costituite dal resto inerte di un essere simile al corallo; oppure essa poteva continuare a vivere, espletando servizi utili e/o essenziali al suo corretto funzionamento. Nelle case bioidi più moderne, per esempio, l’illuminazione era garantita da un sistema integrato simile a quello degli alberi-lampione ed i rifiuti organici degli abitanti venivano riciclati da una sorta di stomaco che li scomponeva nei loro elementi base e li riutilizzava per il rinnovamento dei “tessuti” e per la produzione di energia.
[...]
Ben presto furono sviluppati potenti software capaci di generare DNA preprogrammati senza l’ausilio di operatori esperti. Questi software prevedevano anche l’ottimizzazione di sequenza, che permetteva, tra le altre cose, l’eliminazione di sequenze geniche ridondanti e l’integrazione di una sequenza di ultrasviluppo, capace di accelerare ulteriormente il processo di crescita dell’essere bioide. Così, grazie anche alla diffusione di nuovo software con interfaccia user-friendly, nell’uso dei quali l’unica cosa di cui si aveva bisogno era solo una grande immaginazione, ogni persona aveva la possibilità di crearsi qualsiasi oggetto bioide.
Nel giro di pochi anni la terra incominciò ad essere “popolata” da creazioni bioidi. Quasi tutti i mezzi di trasporto tradizionali furono affiancati dai nuovi fenomeni della scienza. Parallelamente, le applicazioni di tale nuova scienza si diffusero nello spazio.
Così, accanto alle affilate e baluginanti navi spaziali costruite dai microscopici ed instancabili MIRT, comparvero le organiche e stravaganti bionavi stellari.
[...]
In un futuro alternativo, forse, la tecnologia dei MIRT non si sarebbe sviluppata così rapidamente e fino all’estremo se eventi accidentali avessero portato prima l’uomo alla creazione del DNA preprogrammato. Probabilmente si sarebbe vissuti per secoli (o anche per millenni), cullati dal trastullo di quelle creazioni che a noi parrebbero abominevoli, senza quei piccoli robot amici che ormai impregnavano ogni centimetro quadrato dell’esistenza umana. »

venerdì 18 giugno 2010

"Ipotesi sul futuro" (parte 1)

Correva l'anno 1999, quando cominciai a buttar giù un paio di righe su quella che sarebbe potuta essere l'evoluzione tecnologica nel nostro futuro (più o meno remoto). L'idea era quella di farne un romanzetto di fantascienza - o una specie di saggio, fra fantascienza e futurologia - cosa che decadde per vari motivi. Rileggendo quelle righe ad una distanza di 11 anni, mi sono reso conto che molte delle idee riportate stanno quasi per essere messe in pratica nel mondo reale e molte idee di tipo più fantascientifico cominciano a mostrare una patina color sepia. Così mi sono deciso di pubblicare, divisi in un paio di post, quegli "appunti" vecchi, prima che il tempo li trasformi in qualcosa di completamente scontato ed obsoleto. Sono scritti piuttosto "tecnici", molto simili ad una sorta di "enciclopedia galattica" (in senso asimoviano), che faranno piacere se non altro agli appassionati del genere hard science fiction. Il primo che riporto presenta la descrizione di una delle tre tecnologie che pensavo (e penso tutt'ora) potessero essere tecnologie capaci-di-cambiare-il-mondo. La prima è quella che ho chiamato Immagine, una sorta di evoluzione naturale di internet. La seconda sono i cosiddetti MIRT (MIcro RoboT) - nome che, con il senno di poi, avrebbe avuto senso cambiare in NART (NAno RoboT). La terza tecnologia è quella che chiamai Bioidingegneria, le cui caratteristiche scoprirete nel corso della lettura del prossimo post...

« L'Immagine. L'Immagine è una sorta di Super Realtà Virtuale. Per “andare” in qualsiasi posto basta collegarsi all’Immagine, che sarebbe la rete mondiale e planetaria di proiettori-ricevitori di stati fisici. Gli stati fisici vengono trasmessi in tempo reale (in realtà vi è una differita di qualche millisecondo) e sono caratterizzati da una risoluzione di poco superiore alla risoluzione cerebrale. Gli stati fisici vengono captati tramite un sensore che incorpora le capacità di una telecamera a largo spettro (dall’infrarosso lontano all’ultravioletto), di un microfono (anche se non è esatto chiamarlo così, infatti ha un range di sensibilità che va da 0,001 Hz a 70000 Hz), di un’antenna a larga banda (dalle ELF alle EHF, fino ai raggi X e gamma), di un analizzatore di campo elettrico, di un magnetometro ed infine di un analizzatore molecolare (un “naso” capace di riconoscere pressoché tutti i tipo di molecole). Praticamente tutto ciò che vi può essere di “interessante” viene captato ed immesso nella rete. Il numero di questi sensori è variabile, dato che vengono costruiti e distrutti continuamente, a seconda della domanda. Ad ogni modo ormai non esiste angolo del pianeta che non sia scrutato da uno di questi “occhi”; anche il sistema solare pullula di questi sensori, dotati di una micro-unità di trasporto spaziale capace di spostarli rapidamente nel vuoto interplanetario.
L’interfaccia tra corpo umano e l’Immagine è rappresentata da quattro gruppi di MIRT (MicroRoboT) specializzati situati rispettivamente nel midollo allungato, nell’orecchio interno, nel cervelletto e nell’encefalo. Da queste quattro posizioni strategiche i MIRT hanno pieno accesso a tutte le facoltà sensoriali dell’ospite. Grazie ad essi è possibile il totale coinvolgimento del corpo umano in una esperienza sensoriale la cui origine può essere situata ad una distanza teoricamente infinita dal corpo stesso. Il gruppo di MIRT impiantati nel midollo allungato, in stretta sinergia con i gruppi dell’orecchio interno e del cervelletto, presiedono principalmente alla gestione degli eventi motorii ed inducono, sotto il controllo cosciente dell’ospite, uno stato di totale paralisi, garantendo contemporaneamente un feedback virtuale relativo alle sensazioni motorie indotte. L’impulso neuroelettrico che causerebbe, per esempio, il movimento delle gambe viene infatti intercettato dai MIRT del midollo allungato, i quali lo elaborano, emettendo un impulso di feedback diretto al cervello. In altre parole, l’ospite ha proprio la sensazione vivida di camminare anche se i muscoli delle gambe non effettuano alcuna contrazione ed il corpo rimane totalmente fermo.
Il gruppo dell’orecchio interno garantisce ovviamente anche la percezione delle sensazioni sonore. Il gruppo dell’encefalo, il più cospicuo, provvede allo smistamento delle altre informazioni sensoriali ed alla supervisione delle operazioni degli altri gruppi.
Di fatto, per l’ospite, non esiste alcuna differenza tra il vivere una situazione reale ed una virtuale creata dall’Immagine. E’ addirittura possibile vivere situazioni di tipo “mangereccio”, nelle quali la sensazione di fame non è indotta artificialmente, ma consiste nella risposta fisiologica dell’organismo nutrito da MIRT alimentari. Quest’ultima caratteristica ha portato all’utilizzo continuativo dell’Immagine, che può protrarsi per un tempo teoricamente infinito. [...] »

mercoledì 16 giugno 2010

Mondi Remoti

«Visto da questa altura, il crepuscolo sulla città è splendido. I veicoli scorrono silenziosi nelle piste, lasciando dietro di sé una scia effimera. Gli edifici e le piazze risplendono dei colori artificiali delle tenui lampade di illuminazione pubblica. La foschia si leva leggera, tingendo di porpora l’orizzonte confuso. La cordigliera si staglia sullo sfondo, maestosa e rassicurante, come ad abbracciare la periferia desolata. L’unico rumore è quello della brezza indecisa, che si fonde con gli arbusti e con le rocce dell’altopiano. Il profumo del nestro e dello streglio si mischiano in un odore esotico, regalando sensazioni olfattive corroboranti e distensive. Il padre si avvicina prudentemente al bordo, tenendo per mano il figlioletto: “Vedi laggiù in quel punto, vicino all’incrocio B12? Là è la nostra casa.” Dopo un attimo di contemplazione, volge lo sguardo al firmamento, indicandone flemmaticamente un punto: “Stasera Galassia dà spettacolo! Chissà se tra quel mare di innumerevoli stelle c’è qualcuno come noi, eh? Chissà se anche loro hanno vite come le nostre, città come questa, pensieri come i nostri… Cosa ne dici tu?”, con mano veloce il padre scompiglia i capelli del piccolo, che nel frattempo aveva assunto un’espressione interrogativa. “Kikor sta sorgendo, è ora di andare a nanna!” »
(Nembo Buldrini, 1998)

domenica 6 giugno 2010

Bizzarrie delle astronavi dimensionali

Dal serio al faceto. Giusto per staccare un po'. L'11 Marzo del 2002 scrissi il raccontino che segue, una sorta di nota fanta-umoristica, ad omaggio del genere fantascientifico divertente ed irriverente di cui il grande autore della "Guida Galattica per Autostoppisti", Douglas Adams, è stato uno dei massimi esponenti.

"Ci sono gli aerei supersonici, che quando superano il muro del suono emettono un bang sonico; ci sono le astronavi superluminali, che quando superano la velocità della luce emettono un flash luminoso; e ci sono le navi dimensionali… I progettisti di questo tipo di navi si chiesero a lungo, durante il loro sviluppo, quale senso sarebbe stato stimolato durante la transizione. Ebbene questo senso era, incredibile a dirsi, l´olfatto. Molti di voi si chiederanno: ma cosa c´entra l´olfatto? Beh, il motivo è molto semplice. Il flash dimensionale emesso dalla nave durante la transizione proietta i soggetti che si trovano nelle vicinanze in tutti gli universi paralleli possibili ed essi avvertono per qualche istante la media di tutte le sensazioni percepibili in questi universi. La media delle luci è un grigio chiaro, quasi impercettibile; la media dei suoni è un semplice rumore rosa di volume trascurabile, tutto sommato gradevole; ma la media degli odori, beh… Non so se avete presente cosa succede se si mischiano odori diversi, gradevoli e sgradevoli… Ad ogni modo, la media degli odori presenti in tutti gli universi paralleli in un dato luogo non è qualcosa di neutro, bensì qualcosa di “insolito”, a suo modo straordinario, spiacevolmente straordinario. Colui che riuscì a descrivere meglio la “miscela” da comporre per ottenere un siffatto olezzo venne premiato col prestigioso riconoscimento internazionale Naso d´Oro. E fu anche l´ultimo. Il concorso venne abolito per lo scandalo che suscitò tale premiazione. La miscela, dunque, ideata da quel naso d´uomo era: un mazzo di margherite di quelle grandi, un pezzetto di burro irrancidito, un milligrammo della sostanza oleosa che si trova tra le dita del terzo piede di un Kakkoltrop di 19 anni, un dado da brodo e una goccia di pioggia di Denevar II: seppure i singoli componenti (con l´eccezione del dado e della sostanza oleosa che si trova tra le dita del terzo piede di un Kakkoltrop di 19 anni) abbiano un odore tutto sommato sopportabile, sfido chiunque a resistere per soli due secondi ad un metro da tale mistura. Abbiamo dunque appurato che il puzzo era estremamente nauseabondo. Per questo motivo i salti dimensionali vennero severamente proibiti nei pressi dei centri abitati. Chi mai avesse infranto questa regola, cosa che avvenne solo due volte, doveva essere sottoposto alla respirazione forzata del gas emanato dalla suddetta mistura per circa cinque minuti, cinque lunghissimi minuti. Dei due malcapitati, uno purtroppo non ce la fece, mentre l´altro trascorse il resto dei propri giorni in preda ad allucinazioni olfattive abominevoli..."

domenica 30 maggio 2010

Divagazioni semi-tecniche sulla fattibilità dei wormholes (tunnel spaziali)

I wormhole - detti anche stargate o, nella nostra lingua, tunnel spaziali - sarebbero certo un ottimo modo per viaggiare, sia tra le stelle che tra diversi punti del nostro pianeta. Per chi mai ne avesse sentito parlare, un wormhole sarebbe capace di connettere due luoghi distanti come una sorta di "porta magica": da un lato della porta si trova il luogo di partenza, dall'altro lato il luogo di arrivo. Sebbene il loro uso abbondi nella fantascienza, dal punto di vista scientifico essi sono stati trattati come mere curiosità matematiche, soluzioni possibili - ma inattuabili in pratica - delle equazioni della teoria della relatività. Lo scopritore di queste soluzioni fu Kip Thorne, che nel 1988, assieme a Mike Morris, ne descrisse le bizzarre proprietà. Uno dei problemi più grossi che impediscono il passaggio dalla teoria alla pratica è il fatto che per ottenere un wormhole stabile occorre della materia esotica, nella forma di massa/energia negativa, e neppure poca: ne serve una quantità paragonabile alla massa di Giove!!! Ora, due questioni si pongono: 1) cos'è e dove si può trovare la massa/energia negativa?; 2) come ottenerne una quantità così enorme? Il fenomeno che viene sempre portato come classico esempio di energia negativa è l'effetto Casimir. Tra due piastre conduttive poste ad una distanza molto piccola si viene a generare una minuscola quantità di energia negativa, poiché dal falso vuoto fra esse contenuto vengono rimosse alcune armoniche di radiazione elettromagnetica. La massa/energia negativa così generata è, lo ripeto, estremamente piccola, nulla a che vedere con la massa di Giove. A quanto pare, quindi, abbiamo poche speranze di rimediare l'energia negativa necessaria per la fabbricazione di un tunnel spaziale.
Il mese scorso mi è capitato di leggere un libro molto affascinante sulla fisica delle particelle, "The Lightness of Being" di Frank Wilczek (nobel per la fisica), che descrive un po' lo stato attuale della ricerca sulla teoria del tutto. Ebbene, verso la fine si viene a scoprire che il modello standard (l'attuale modello fisico che al meglio descrive il mondo in cui ci troviamo e le proprietà delle particelle che esso contiene) è incapace di descrivere da dove deriva la massa dell'elettrone o, in altri termini, perché l'elettrone ha la massa che ha. Serve quindi una descrizione "ad hoc" che permetta di dare ragione della massa di una particella così fondamentale. Il prof. James Woodward, fisico ed ex docente - ora in pensione - della California State University di Fullerton, California, ha avanzato un'ipotesi molto interessante, e cioè che la massa dell'elettrone è in realtà la somma di una massa negativa piuttosto sostanziosa e una massa positiva un po' più sostanziosa, che dà come risultato la massa positiva relativamente piccola che noi misuriamo. Vi risparmio i vari calcoli matematici che portano a tale conclusione, ma basti pensare che la massa positiva deriva dall'interazione della massa negativa con il resto dell'universo, in ottemperanza al principio di Mach. Da un punto di vista puramente illustrativo, ma che può aiutare a farsi un'idea, potete immaginare l'elettrone come una caramella di massa negativa avvolta da una spessa carta fatta di massa positiva. Dal di fuori, ciò che si vede è solo una piccola quantità di energia positiva, ma basterebbe scartare la caramella e... boom! -  ecco che viene "denudata" l'enorme massa negativa che si trova all'interno. Giusto per dare un paio di numeri circa l'enorme quantità di massa negativa che si trova all'interno di un singolo elettrone, si pensi che essa ammonterebbe a circa novanta milioni di miliardi la massa dell'elettrone che osserviamo normalmente. Considerando l'enorme quantità di elettroni  che compongono la materia ordinaria, basterebbe quindi "denudarne" un po' per trasformarla in una grande quantità di materia esotica. Ma come fare a scartare la caramella? Dopotutto, gli elettroni sono una delle cose più "stabili" che esistano. Le equazioni di Woodward ci mostrano che variando l'energia interna di un corpo sottoposto ad una accelerazione, riusciamo a variare la sua massa in due modi distinti: si ottiene un'oscillazione a media nulla, e una oscillazione che possiede sempre segno negativo. In certe condizioni estreme (quando la variazione di potenza è sufficientemente elevata), il secondo modo predomina sul primo, e quello che si ottiene è la nostra tanto agognata massa negativa. Detta così sembrerebbe una cosa piuttosto semplice da mettere in pratica ma, come si suol dire, il diavolo è nei dettagli, e sebbene Woodward abbia ottenuto dei risultati sperimentali che contengono un barlume di speranza, sembra che ci voglia ancora molto lavoro prima di ottenere qualcosa di tangibile.
Il passo molto importante compiuto da Woodward rimane comunque quello di avere portato un meccanismo teoricamente plausibile per generare grosse quantità di massa/energia negativa, e con esso la speranza di vedere attuato uno dei sogni più straordinari dell'esplorazione umana dello spazio.

Rapprsentazione artistica di uno stargate tra Terra e Titano


sabato 13 febbraio 2010

La vita in altri universi

Spesso guardando un film, riferendosi al protagonista, si pensa: "Possibile che gli vanno tutte dritte? La scampa sempre per un pelo!...". Guardando la cosa da un altro punto di vista, si potrebbe dire che proprio perché ai protagonisti sono andate tutte dritte, essi possono essere qua a raccontarci le loro mirabolanti avventure (e questo punto di vista rende ancora più "plausibile" e perciò entusiasmante la visione del film). Pensando a Star Trek, una delle mie saghe di fantascienza preferite, spesso all'inizio mi veniva da pensare all'Enterprise  ed al suo equipaggio come troppo fortunati per essere verosimili, pure in un mondo di fantascienza. Ma il ragionamento potrebbe anche essere che l'Enterprise ed il loro equipaggio - nell'universo di Star Trek, ovviamente :-) - siano diventati famosi e sono qui a raccontarci le loro avventure proprio perché l'hanno scampata (per fortuna e/o per bravura dell'equipaggio) in mille situazioni pericolose! (mentre centinaia di altre navi hanno trovato un destino meno fortunato). Una sorta di selezione naturale!
Un discorso analogo si può applicare al nostro universo, dove le costanti e le leggi fisiche sembrano essere giuste giuste per permettere la nascita e la proliferazione della vita come noi la conosciamo. Questo pensiero costituisce una delle forme con cui si esprime il cosiddetto "principio antropico".
Eppure qualcuno (vedi l'articolo su Scientific American) ha provato a speculare sulla possibilità che il nostro non sia poi un universo così privilegiato, e che cambiando o addirittura eliminando qualche legge della fisica, la vita a base carbonio possa essere ancora possibile.
E' una specie di "gioco cosmico", in cui si cambia di poco il valore di alcune costanti della fisica (come per esempio la massa di alcune particelle elementari) e si prova a simulare cosa accadrebbe all'universo e alla chimica della materia.
La vita organica come noi la conosciamo si basa sul Carbonio 12, un elemento stabile che forma le molecole essenziali allo sviluppo ed al mantenimento dei processi biologici. I protoni ed i neutroni che costituiscono il nucleo di carbonio hanno un rapporto di massa ben stabilito, e cioè il neutrone è lo 0.1% più pesante del protone. Cosa succederebbe se, per esempio, fosse il protone ad essere lo 0.1% più pesante del neutrone? Senza perderci nei dettagli, si può dire che gli oceani sarebbero fatti di acqua pesante e che il Carbonio 14  (normalmente radioattivo, ma che diverrebbe stabile) sostituirebbe il Carbonio 12 (che invece diverrebbe instabile). La chimica sarebbe forse leggermente diversa, ma ciò non sembrerebbe precludere la nascita e lo sviluppo della vita come noi la conosciamo.
Un'altra possibilità più esotica sarebbe l'introduzione di un nuovo quark (quark strange)  nella composizione delle particelle che costituiscono i nuclei (normalmente formate da due quark, l'up e il down), previa riduzione estrema della massa del quark down. Si verrebbe a creare un tipo di carbonio denominato carbonio sigma che, nonostante la sua "stranezza" (in tutti i sensi), sarebbe capace di sostenere una chimica organica.
Altri maneggiamenti portano invece ad universi in cui non esistono forme stabili di carbonio ed idrogeno, e di conseguenza non è possibile lo sviluppo della vita.
Uno scenario più spinto riguarda la rimozione in toto di una delle forze fondamentali, la cosiddetta forza nucleare debole. Per quanto ciò possa sembrare un'operazione estrema, gli autori giungono alla sorprendente conclusione che pure in un universo così "castrato" la vita a base carbonio sarebbe possibile. Un'universo senza la forza nucleare debole apparirebbe più "fioco", poiché le stelle sarebbero in media più fredde: una "Terra" di tale universo, per poter sostenere la vita, dovrebbe trovarsi più vicina al suo sole di quanto non lo sia il nostro Mercurio.
Ad ogni modo, non è ancora chiaro se tali operazioni di rimaneggiamento di costanti fisiche e interazioni fondamentali siano del tutto scevre da controindicazioni, e cioè se cambiando una delle costanti non debbano di conseguenza cambiare anche le altre per far quadrare i conti dell'equazione cosmica (che ancora ci è ignota nella sua interezza). In tal caso sarebbe virtualmente impossibile, con le nostre attuali conoscenze, stabilire se, in questi strani universi paralleli, la vita come noi la conosciamo sia possibile oppure no.

martedì 26 gennaio 2010

Sogno di alieno

Dopo tanti articoli tecnico/scientifici, mi butto un po' sul metafisico. Tempo fa, lessi  una raccolta di "microstorie" di fantascienza, piccoli racconti-lampo in cui il lettore viene subito fiondato nel nocciolo della storia e l'intera vicenda - spesso con finale a sorpresa - si svolge nell'arco di qualche pagina. La cosa mi piacque alquanto e fu fonte di ispirazione: da allora ogni tanto butto giù due righe a formare una microstoria. Eccone una breve breve, senza troppe pretese, che scrissi il giugno dell'anno scorso:

"Stanotte ho fatto un sogno. Un sogno alquanto strano. Abitavo in una casa piena di colori immaginari, ed ero circondato da strane forme geometriche che mi danzavano intorno con ritmo quasi casuale. Fuori dalla casa c’era una distesa verde che si estendeva a 180 gradi tutt’intorno. Incontrai uno strano essere, che mi fece uno strano cenno con una parte del suo corpo, mentre una strana smorfia gli dipingeva la parte stessa. Ad un certo punto cominciai ad allontanarmi in senso verticale dalla distesa verde e vidi che tutto diventava sempre più piccolo e ravvicinato. Vidi distese blu e marroni e formazioni vaporose bianche. Allontanandomi sempre di più, vidi che sotto di me la superficie cominciò ad incurvarsi e mi resi conto di far parte di una sfera fluttuante nello spazio. Una sfera molto piccola rispetto a tutto il resto. Una sfera insignificate che faceva parte di un singolo universo. Un solo e singolo universo. Solo allora rivolsi l’attenzione al mio corpo e rimasi esterrefatto. Ero fatto di una sostanza morbida e all’apparenza ricca di liquido. Avevo una testa, un corpo, due arti superiori e due arti inferiori. Non potei resistere a tanto abominio, e fu così che il campo della sesta dimensione mi si distorse attorno a tal punto che mi svegliai. Mi spostai sulla quattordicesima dimensione e arrivai a te. Tu mi accogliesti creando 9 universi e 10 leggi fisiche, che mi fecero sentire più tranquillo e che mi permisero di raccontarti questo incubo…"